LA PARTE PER IL TUTTO, E IL TUTTO NELLA PARTE
di Alessandra Rizzi
Cos’è la scultura per Federico? O il disegno, o la pittura, o la fotografia, o il testo teatrale (perché l’arte è arte; prende forma di volta in volta in modo diverso con il mezzo che l’artista sente più vicino alla propria esigenza e che gli diviene dunque necessario: è la materia che sta al suo gioco, ed è lui a trovare quella più congeniale). E’ forse come per gli scacchi la mossa del cavallo; per artefatto di prospettiva pare quasi di vedere un corpo senza testa e la testa sembra proprio essere più in là, benché quella che si scorge sia in effetti quella di una pedina: la dislocazione suscita la meraviglia.
Ma quindi, per meglio dire, com’è l’arte di Federico?
Spettacolare e meditata: la si riconosce sempre, e con coerenza, come parte di un insieme, completo nel suo essere, sintetico nel suo farsi, definito da un materiale che è fermo nello spazio ma si muove anche nell’ambiente. La forma può ricevere le vibrazioni dall’esterno come un’aria di temporale che movimenta e scompiglia le vesti, oppure può subire l’effetto dell’acqua che smussa e un poco per volta scava e modula la compattezza della materia di cui è fatta, altrimenti può anche fluttuare in terra come immagine volatile di un cielo riflesso da uno specchio lustrato. Una forma che è destinata a farsi uomo, o corpo d’uomo senza testa, o buco nero di galassia astrale, o spina dorsale di Icaro (nell’atto del volo, quando è visibile la forza dello slancio, o atterrato dopo la caduta, sciolte le ali, spezzata la vita), o Polifemo o Nettuno. Ma può diventare persino Gargantua, o trasformarsi nel Leviatano, raggomitolato sul proprio dolore (l’energia vitale si legge sia nella volontà di agire, di uscire allo scoperto e di aprirsi, sia nel raccogliersi delle membra chiuse a difesa). Sia quel che sia rimane tuttavia sempre impressa nella materia la duttilità di un essere plasmato o disegnato, che vuole comparire nel teatro del mondo: figura eretta o atterrata (perché l’inclinazione a vincere o a perdere è forse predestinazione o forse casualità, qui sta l’azzardo). Realmente e concretamente quella figura ancora in fieri, che si predispone a prendere luogo in un luogo, viene sapientemente formata e plasmata e nasce come opera, risultato di una scelta perseguita dalla volontà del suo creatore e realizzata per sua scelta. Lui, l’artista, crea. Lei, la materia, fa parte del suo progetto, si lascia staccare dal mondo informe, fa posto e prende posto accanto al già esistente con il suo esistere, e diventa, allora sì, parte del Tutto.
“Disporre di intenzione significa che, alla base del problema (il problema formale) posto in essere, ci si è pre-occupati in merito al dramma della scelta. L’intenzione infatti guida il percorso che si finalizza in quello che viene definito scopo. Ciò che vivifica lo stimolo che abbiamo chiamato intenzione, ad essere onesti è la necessità, che è la prima forma di consapevolezza. La necessità apre alla via, l’intenzione sceglie, e su questa si costruisce la somma del nostro esperire.”
Federico Branchetti
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